lunedì 11 agosto 2008

INTER LICIUS - IL CASTELLO DI TRELICIO


IL CASTELLO DI TRELICIO

Nel 1042 il castello era già costruito, cinto da mura e da un profondo fossato, per la sicurezza della città.
Il primo documento scritto risale ad una pergamena del 1108.
Non essendo rimasti resti, si può soltanto dire che il castello non doveva essere molto grande; esso era delimitato da due strade: via Portella (oggi Corso Umberto I) e Via Michele de Napoli, e si estendeva fino all'attuale mercato Lioy.
Fu l'abitazione del Conte e dei suoi famigliari e della guarnigione.
Durante il periodo Svevo in esso fu ospitato Federico II, e nel periodo Aragonese, Francesco d'Aragona.
Dal 1766 al 1865, venne utilizzato come carcere, stalla e mulino.
Dopo una serie di crolli, nel 1866 cadde definitivamente e al suo posto venne costruito un mercato coperto (l'attuale mercato Lioy). Con le pietre rimaste, venne terminata l'erezione dell'attuale Cattedrale.


LA TORRE DELL'OROLOGIO

La Torre Maggiore, comunemente chiamata dai terlizzesi Torre dell'Orologio, è l'unica testimonianza dell'antico castello.
Dall'alto dei suoi 31 metri e passa, domina incontrastato lo scenario suggestivo del borgo cittadino che, per la particolare configurazione architettonica, è classificato tra i più belli di Puglia.
La Torre, sormonta da un'elegante edicola campanaria, mostra sulla facciata orientale il maestoso orologio che col diametro di 3,45 metri trova pochi eguali in tutta Europa.
Dalla sommità della torre il panorama godibile lascia intravedere orizzonti di grande attrattiva.
Piccola curiosità: sul quadrante è possibile notare alcuni fori; questi fori furono causati da proiettili vaganti che risalgono ad una battaglia avvenuta durante le guerre napoleoniche.


LA VECCHIA TORRE MAGGIORE

Da mill'anni
t'adergi
alta e possente,

vetusta torre normanna,
vigile scolta
e baluardo,
un tempo,
a difesa degli avi nostri
,
scandisci
ora
dal vostro quadrante
la vita
dell'operosa tua gente.
Muto testimone
di sue mille

alterne vicende,
rimani
ancora nei secoli
a scriverle
nella patina
dei suoi conci
abbruniti dal tempo.

Don Gaetano Valente



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