Tra i diversi Ordini religiosi attivi nel territorio terlizzese, quello che ha impresso l'orma più profonda nella storia cittadina è stato sicuramente l'Ordine Francescano.
Affreschi nelle prime due campate |
L'antica civitas Terlitii, che apparteneva alla diocesi di Giovinazzo ma che, fregiandosi del titolo di nullius, dipendeva direttamente dalla Santa Sede, ha ospitato i frati Minori Osservanti nel convento di S. Maria la Nova, i frati Minori Cappuccini nel convento extra moenia di S. Maria delle Grazie e le suore Clarisse nel monastero di S. Anna .
A questa presenza, oltre a dover dare merito dell'influenza positiva esercitata nella vita religiosa della città, occorre dar merito di aver arricchito Terlizzi di numerose opere d'arte di straordinaria bellezza e alto valore artistico.
Per alcune di queste opere è in corso il recupero attraverso il restauro e la presa di coscienza del loro valore artistico-culturale, oltre che religioso. È recente il restauro della tela di Antonio Baldi raffigurante la "Morte di Sant'Anna" collocata sull'altare maggiore della chiesa di S. Gioacchino, e "adottata" da parrocchiani e terlizzesi nell'ambito del progetto diocesano di recupero "Adotta un'opera d'arte".
Beato o Santo francescano |
Ancora in corso, ma in uno stato di avanzamento dei lavori tale da consentire la fruibilità di diversi ambienti, è il restauro del ciclo delle pitture murali che decoravano interamente il chiostro dell'ex convento dei Frati Minori Osservanti di S. Maria la Nova. Aperte al pubblico già da alcune settimane, le pitture delle lunette dell'ambulacro claustrale hanno stupito i visitatori, meravigliati si scoprire, là dove fino a qualche anno fa vi erano ripostigli e stanze di vario uso, meravigliosi affreschi seicenteschi raffiguranti episodi veterotestamentari.
Lo straordinario ciclo pittorico venne distrutto o, nel migliore dei casi, occultato da strati di calce, forse all'indomani della soppressione dell'ordine francescano nel Regno di Napoli, voluta nel 1811 da Gioacchino Murat. Altri indizi, tuttavia, farebbero pensare ad un occultamento avvenuto già al finire del XVIII. sec, all'indomani della distruzione dell'antico duomo e il trasferimento, ad interim, del capitolo cattedrale nella chiesa degli Osservanti. La destinazione ad altri usi della struttura conventuale e la scarsa considerazione che gli organi di tutela avevano per queste opere, sono le cause all'origine dell'oblio del ciclo pittorico.
Oggi, dopo due secoli, gli affreschi stanno tornando alla luce grazie alla sensibilità dei parroci don Pasquale de Palma, prima, e don Paolo Malerba, ora, e grazie al lavoro certosino dei restauratori Giuseppe e Annamaria Chiapparino.
Per comprendere pienamente il significato e l'origine delle pitture murali del chiostro, occorre puntualizzare che la comunità francescana degli Zoccolanti (nome alternativo degli Osservanti) si insediò a Terlizzi sin dal 1500 per volere del duca di Gravina e conte di Terlizzi Francesco II Orsini, grande mecenate e simpatizzante dell'Ordine. Il convento crebbe in fretta potendo, infatti, godere della crescente simpatia dell'Universitas, che destinò ai frati l'erogazione annuale di 100 ducati, e della nobiltà locale, che trasformò la chiesa nel suo sepolcreto preferito. Presto, dunque, l'arricchito convento divenne un punto di riferimento per l'intera "Provincia di S. Nicola", importante polo di studio filosofico e teologico e per questo prescelto, dal Capitolo Generale di Valladolid, nel 1593, quale sede di noviziato e studentato.
Particolare dell'affresco "I fratelli consegnano la veste insanguinata al padre" raffigurante "I fratelli vendono Giuseppe ai Madianiti" |
Oltre a costituire una vera e propria Bibbia illustrata dalla chiara connotazione educativa per gli aspiranti frati, le immagini erano anche una guida, un percorso didattico. Infatti, attraverso l'esegesi dei testi biblici e l'osservazione delle immagini dipinte, si potevano cogliere parallelismi tra le figure dei patriarchi e Cristo.
La figura di Giuseppe, per esempio, si presta particolarmente al confronto con Gesù: Giuseppe fu venduto ai Madianiti dai suoi fratelli come Gesù fu venduto al sinedrio da uno dei suoi discepoli; le calunnie della seduttrice hanno gettato Giuseppe in prigione come le testimonianze false nella sinagoga gettarono Gesù davanti a Pilato. Queste e molte altre analogie, che in questa sede non possiamo analizzare, furono sottolineate già nel 410 dal vescovo greco Asterio Amaseno.
Anche i santi e i beati francescani dipinti in clipei sui pilastri assumono una valenza pedagogica: sono esempi di vita retta e santa additati ai novizi quali modelli da seguire. Citiamo quelli oggi affiorati e di cui è leggibile il cartiglio recante il nome: beata Humiliana vedova , beato Antonio Scaraggi da Bitonto e beato Salvatore da Orta .
Il ciclo delle pitture, le cui immagini sono commentate, nei cartigli sottostanti, da quartine in rima, fu eseguito probabilmente intorno al 1619, anno in cui l'intero convento venne ristrutturato ed adeguato alle nuove esigenze (come ricorda una iscrizione che corre lungo la facciata laterale esterna della chiesa ). La tecnica di esecuzione è quella del mezzo-fresco: la campitura cromatica viene estesa sull'intonaco a fresco, mentre i particolari vengono aggiunti a secco con vernice stemperata in latte di calce. L'uso di questa tecnica ha comportato l'inevitabile perdita di numerosi dettagli.
L'intervento di restauro ha, inoltre, messo in luce un precedente intervento settecentesco resosi necessario dopo l'apertura di alcune porte. Ma cosa ancor più interessante è che al di sotto dello strato di intonaco seicentesco sono emersi alcuni frammenti cromatici che lasciano ipotizzare l'esistenza di un precedente ciclo di pitture murali cinquecentesco.
A partire dal 2006, anno di inizio dei lavori di recupero, il ciclo delle pitture della S. Maria la Nova non ha smesso di stupirci per la straordinaria raffinatezza e bellezza delle scene che si vanno via via disvelando e che rivelano la forte consapevolezza dell'artista esecutore. Si guardi per esempio la figura di Giuseppe: mantenendo la riconoscibilità, coerentemente col trascorrere degli anni nella storia, il patriarca invecchia passando, dal ragazzino venduto dai fratellastri, al dignitario adulto e barbuto seduto sul trono.
Questo, e tantissimi altri dettagli sorprendenti, che magari illustreremo in altre occasioni, uniti alla bellezza estetica, rendono il ciclo terlizzese uno dei più belli del barese. È un gioiello che va conosciuto e tutelato. Rivolgiamo, pertanto, ai lettori l'invito di visitare gli ambienti del chiostro dell'ex convento, rendersi conto personalmente della bellezza delle opere e di quello che ancora rimane da scoprire e, se possibile, lasciare un personale contributo per la prosecuzione dei lavori. Fino ad oggi, infatti, i lavori di recupero non hanno potuto beneficiare di alcun tipo di finanziamento da parte degli enti di tutela ed è stato sostenuto esclusivamente con fondi parrocchiali.
Testo e foto di Francesco De Nicolo
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